martedì 15 settembre 2009

IL CANE E L'AQUILONE


IL CANE E L’AQUILONE

Mario corre, corre con le gambe e le braccia scomposte, come una marionetta di un burattino distratto e non si guarda mai indietro. Ad un tratto ha realizzato intorno a sé solo figure di fantasmi e, preso dal panico, nella sorpresa generale, con un balzo ha varcato la soglia d’ingresso della clinica guadagnando l’uscita ed ha iniziato a correre. Non vuole farsi prendere, Mario, perché lo stanno inseguendo e urla e sbraita:”Via, via, via…” mentre calpesta pesantemente l’erbetta e i fiori delle aiuole del giardino per raggiungere al più presto il grande cancello grigio che si apre sulla strada.
Uomini dai camici bianchi e verdi sono dietro di lui e gridano a chiunque:”Prendetelo, fermatelo!”, ma sono lenti, sono distanti, non hanno la forza della sua disperazione!
Oltre il cancello, al di là della strada, c’è un campo sconfinato, una volta biondeggiante di messi ed ora incolto, ove si erge un freddo traliccio alto decine di metri. Ed è in quella direzione che guarda Mario e pensa che se riuscirà a salire quell’immenso albero potrà toccare il cielo e non dovrà più avere paura. Così, con manate e calci si fa strada fra le erbacce fino ad arrivare alla base della struttura. Con entrambe le mani afferra l’asta all’altezza dei suoi occhi ed inizia ad arrampicarsi.
Il sangue gli martella forte le tempie e rivoli di sudore gli scorrono sul volto. “Via, via, via…” – continue grida gutturali gli fuoriescono dalla gola ed ogni tanto scalcia violentemente in aria e quasi perde l’equilibrio.
Sopra di lui le nuvole si muovono piano, quasi in maniera impercettibile, si aggregano e si separano dando vita ad altri esseri.
E’ arrivato in cima, Mario, e guarda solo in alto, guarda verso quella nuvola che gli sembra familiare. Ma certo, come non accorgersene, certo, ha lo stesso corpo e il pelo un po’ arricciato di Rudy, il suo vecchio affezionato cane, le stesse orecchie e lo stesso musetto candido perennemente concentrato in basso, quasi a volersi scusare della lunga assenza. Rudy, erano anni che non lo vedeva, anni, esattamente da quando quel maledetto giorno d’estate gli era uscito all’improvviso di casa e l’automobilista ubriaco non era riuscito a frenare in tempo.
“Rudy, Rudy, dove sei stato tutto questo tempo?” domanda Mario e le lacrime gli appannano gli occhi. “Mi hai lasciato solo!” rimprovera con voce sommessa, ma si sente felice perché la piccola coda del cane si muove. “Non ho mai smesso di cercarti, lo sai?” confessa un po’ vergognoso ed intanto si allunga verso la nuvola nel tentativo di sfiorarla.
Si sporge, Mario, si sporge ed il piede perde la presa e come una marionetta senza fili cade nel vuoto. Si ode un tonfo terribile quando tocca terra alla base del traliccio, tonfo a malapena coperto dalle urla strazianti dei sanitari che hanno assistito al volo.
D’un tratto sul campo tutto è silenzio e l’aria sembra percorsa dal brivido della recente tragedia; lassù nel cielo le nuvole si sono ricompattate ed hanno formato un grande aquilone che lievemente si increspa ed oscilla al vento.

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